mercoledì 8 febbraio 2012

La cavalcata dei morti



















La gente dice che hanno il diavolo in casa. Qui è come dappertutto: ci sono tante teste vuote che fanno presto a riempirsi di qualunque cosa, possibilmente il peggio. È quello che tutti preferiscono, il peggio. Ci si annoia talmente.

Mi sto rendendo conto solo ora che sono ben 2 anni che non leggo un libro di Fred Vargas e in due anni si fa a tempo a dimenticarsi molte cose.
E l'autrice trascura questo particolare, con continui riferimenti a personaggi e situazioni dei romanzi precedenti che io ricordo ma non abbastanza per apprezzare il richiamo ricorrente, con conseguente irritazione (ma dove sono gli espedienti letterari fatti apposta per questo scopo?!).
Al contrario il "giallo" non mi è parso per niente nuovo, mi sembrava di rileggere situazioni e dialoghi di romanzi precedenti, mescolati tra di loro ad arte: l'omicidio in campagna, il delitto parigino parallelo (che fa solo da sfondo), gli gendarmes di provincia, il ristorante/bar dove si incontrano tutti. Con tuttavia un po' di carattere in meno.
Léo, il personaggio più intrigante, poteva essere un buono spunto per far decollare il romanzo, tuttavia rimane solo il potenziale, e stop.
Poi c'è la mitologia, immancabile, intrecciata al folclore francese, che si fa forte e reale nelle campagne, così reale che quasi la puoi toccare. E forse questa è la parte più felice del romanzo: la "schiera furiosa", l'armata dei fantasmi giustizieri. E ancora una volta ci si chiede: come farai Fred questa volta a cavarti dell'impiccio? Come sgretolerai con la razionalità questo muro di leggende e superstizioni?